E sono due anni…

Proprio oggi, 6 novembre, sono due anni esatti che sei mancato. Se ci penso, ancora non me ne faccio una ragione. Non tanto per la morte, ‘chè tutti dobbiamo morire, ma per come ti ha preso in giro, avvicinandosi, carezzandoti, allontanandosi e poi consumandoti, tu che eri un gigante, giorno dopo giorno. Alla fine, in quella cassa, del Maestro di oltre 100 kg non era rimasto nulla. Maestro. Anche oggi mi hanno salutato con questo epiteto ora che, con le palestre chiuse, vado a farmi la corsetta quotidiana di riscaldamento pre allenamento per le vie della città. Maestro. Tu eri un Maestro, non io. Mi ha fatto strano che pure stamattina, come ieri, delle persone mi salutassero così. Io che non sono mai voluto esserlo. io che, a stringere, ho tutto da imparare, ancora e sempre. Io che non ho voluto mai insegnare. Tu, al contrario, eri focalizzato su quello, era il tuo scopo, il tuo desiderio, la tua bravura. La città è tappezzata di manifesti che ricordano la ricorrenza. Come dimenticarla, noi che ti abbiamo voluto bene? Perchè, a stringere, eri un amico, una persona con cui mi confrontavo quotidianamente, con cui scherzavo, una persona piacevole anche da avere vicino. Perchè,dopo mesi di silenzio sono tornato a scrivere di te? Perchè ne avevo bisogno. Alla fine, anche se da principio non lo avevo capito, i doppi allenamenti, le ore passate ad allenarmi come fossi ancora un ragazzino, tutti i giorni, erano per onorare te malato, tu che non potevi tornare in palestra, tu che facevi la riabilitazione post operazione, tu che tornavi lentamente a camminare. Tutti i giorni passavo a trovarti, anche se anche solo per un quarto d’ora. Anche il giorno di Natale. E poi, quella mazzata, di fronte alla quale pure io sono scappato perchè non la accettavo. La malattia, l’operazione, i problemi, il tornare, con fatica, ad una vita quasi normale, la malattia, da un’altra parte, inoperabile. E tu, che a dispetto delle prove precedenti, eri ancora un toro, hai resistito più di quello che i medici dicevano. Perchè avevi un cuore grande, in tutti i sensi. Non nascondo che i sensi di colpa mi hanno accompagnato per mesi. Mesi in cui ho spinto ancora di più, sempre di più,fino a crollare, di testa. Dopo di te è mancato anche Paolo, poi Glauco, che era più grande di età ma era una grande persona e io sono proprio andato giù. Ancora oggi, per l’ansia, sono in cura. Lo sport, a parte quando ero proprio crollato, l’ho rirpreso senza gli eccessi di prima. Prima era un modo per onorarti, per farti essere lì, con me, contro il sacco, sul tatami, in sala, coi guantoni o guantini, durante le corse o le sessioni di pesi. Anch’io oramai peso 100 kg ma non sono e non sarò mai grande come te. E non sarò mai un maestro, anche se, quando si poteva, mi divertivo a spiegare ai giovani i fondamentali e allenarmi con loro o con chi voleva ritornare ad allenarsi. Sai che sono stato sempre un po’ così, sul decidere con chi allenarmi. E che cazzo, me lo posso permettere, come chiunque. Lo sport è divertimento, cercando di imparare senza farsi male e non a chi piscia più lontano. Preservare e tramandare. Se c’è una vita dopo, sono certo che ti stai allenando. Io mi sono ritagliato la mia piccola palestra privata, ma non è uguale alla nostra. Sei una delle persone che più mi manca, soprattutto per le nostre chiaccherate non solo sullo sport. A volte sono uscito con la maglietta che ti avevo promesso. La porto in giro, correndo, ed è un po’ come se tu fossi con me ad ammirare la nostra città. Purtroppo quella promessa non l’abbiamo potuta mantenere. Te l’avrei regalata volentieri la maglietta, quando fossi uscito dall’ospedale sulle tue gambe. Lo sai che avevo pensato di metterla nella bara con te ma a che sarebbe servito. Qualcuno ha messo qualcosa, come Roberto i suoi guanti con cui aveva vinto non ricordo più neppure cosa. Io no. Ho preferito portarti ogni tanto con me, quando indosso la maglietta della promessa. Ciao Marco. In tanti non ti abbiamo dimenticato.

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