Pasolini, già 42 anni, Petrolio

Visto che oggi sono giusto 42 anni che l’Italia è stata privata del suo Genio, ripropongo il C.T.V. dedicato a Petrolio.

Non sono solito fare una nota introduttiva all’inserimento dei brani scelti. Petrolio, pubblicazione postuma e incompiuta, in origine avrebbe dovuto aggirarsi attorno alle 2.000 pagine. Ce ne sono arrivate neppure 600. La domanda fondamentale è se sia corretto pubblicare un’opera non terminata. A differenza di altre volte, mi sento di rispondere si. Credo che per avvicinarsi a un’opera del genere, tanto ampia e imponente, quanto ancora da revisionare , modellare, tagliare e ricucire da parte dell’autore, serva conoscere Pasolini. Occorre poi ricordarsi che certe durezze, errori e incongruenze presenti in Petrolio, con una revisione approfondita non ci sarebbero state. A Pasolini è stata tolta questa opportunà e al contempo l’Italia è stata privata di un genio. Trovo corretto che chi ha curato la pubblicazione non abbia ritoccato le parole scritte. Leggere Petrolio? Si. Meglio però farlo dopo altre letture e ricordando sempre che è un incontro senza mediazioni. Che opera sarebbe stata!

Ma questo non faceva che aumentare il piacere di Carlo, perché, resi così ombre nella storia, quei giovani invecchiati, ex padroni del tutto della vita, apparivano al loro compagno, ex succube della mancanza di quel tutto, ormai inoffensivi.

Il sorriso di Troya è invece un sorriso di complicità, quasi ammiccante: è decisamente un sorriso colpevole. Con esso Troya pare voler dire a chi lo guarda che lui lo sa bene che chi lo guarda lo considera un uomo abbietto e ambizioso , capace di tutto , assolutamente privo di un punto  debole , malgrado quella sua aria da ex collegiale povero e da leccapiedi da sagrestia : e vuol dire al tempo stesso , a chi lo considera tale , che lo può pure fare , e che , se per caso , su questo punto , ci fossero dei conti da regolare , la cosa era , oggettivamente ,  rimandata sine die ( cioè al giorno in cui Troya non fosse stato più potente ) . Non solo , ma ogni regolamento di conti , con l’impotente e idealista ‘semplice cittadino’ che formulasse su di lui un giudizio sulla verità da lui stesso ammessa , era sempre , in qualche modo impedito da qualcosa di più urgente , di più pubblicamente urgente .  Ed era questo ‘segreto di qualcosa di più urgente’ che nascondeva soprattutto , il sorriso di Troya .  Infine questo sorriso esprimeva anche un altro messaggio , che è un messaggio essenziale , indispensabile e direi quasi sacro in Italia  : Troya , cioè sorridendo furbescamente , voleva far sapere ininterrottamente , senza soluzione di continuità , e a tutti che egli era furbo . Quindi che lo si lasciasse andare , per carità , che lui ‘sapeva certe  cose’ , ‘aveva certi affari urgenti d’importanza nazionale’ ( che un giorno o l’altro si sarebbero saputi ) , che lui ‘ era così abile e diciamo pure strisciante’ da cavarsela sempre nei migliore dei modi e nell’interesse di tutti . Naturalmente , essendo un sorriso di complicità , era anche un sorriso mendico : mendicava cioè compassione sulla sua manifesta colpevolezza .

Carlo, per chi l’osservasse, presentava una caratteristica essenziale: quella di essere interessato a tutto e quella di restare perfettamente inalterabile. Così come deve essere inalterabile un subalterno, che non deve avere sentimenti. Ma questa inalterabilità, nel tempo stesso, era quella di un dirigente, che, invece, i sentimenti non li deve manifestare, essendone al disopra.

Ma l’antifascismo e il progressismo cementavano ancora tutto, in un’Italia pressoché paesana. I giovani complottavano le loro felici reinvenzioni all’ombra dei padri ( che , come ho detto li guardavano benevoli, in un rapporto molto tradizionale). Si lavorava bene. L’Italia non aveva mai conosciuto un’attività culturale più fervida, intensa e onesta che in quel periodo. Lo scandalo aveva ancora spazio, a causa delle stretto potere democristiano, la cui ottusa brutalità rendeva tanto più nobile la causa di chi vi si opponeva.

Certo, egli aveva mantenuto la parola: era la Santità che egli gli aveva fatto raggiungere: la santità, non la finzione di Santità. La Poesia, non la Letteratura.

Quando si scrive senza pensare di rivelare un segreto, cioè sinceramente, ci si accorge di rivelare un segreto che non si sapeva di avere”

Ogni autore è un dittatore, si sa. Ma è un dittatore mite. E’ un dittatore pronto sempre a pentirsi, a fare marcia indietro, magari a lasciarsi uccidere. E’ un dittatore che non perde occasione di prostrarsi davanti all’ultimo dei suoi presunti sudditi. E’ un dittatore che va mendicando l’attenzione della sua corte.

Ma a tale domanda – se mi venisse fatta – io risponderei che non è possibile scrivere un poema su delle persone che annoiano. E annoiano perché sono eccezioni, e come tali non cadono nella sfera dell’esperienza quotidiana.

E dunque il mondo intorno, così vorticante di corpi, trascinati ognuno nel suo caos, pareva complice della solitudine di Carlo.

Carlo aveva interpretato subito in cuor suo che Feltrinelli si era ammazzato da solo, facendo il guerrigliero; che se egli fosse stato povero, o semplicemente un piccolo borghese qualunque sarebbe finito in un clinica, o in manicomio già da qualche anno, e che in definitiva era un matto che aveva fatto la fine di un idiota; non c’era disprezzo, in questa sua interpretazione, c’era anzi una certa compassione – ma non c’era certamente pietà.

La gente era quella; ed era senza più i valori arcaici della Chiesa o quelli pervertiti della conservazione;stupida, brutale, ghignante, vuota, nevrotica, ansiosa, casuale, indifferenziata; i giovani volevano tutti la stessa cosa, che non era altro che l’eterna ripetizione di un modello, che rendeva uguali tutti i contenuti; cominciava una civiltà il cui centro non era qualche uomo, ma dei gruppi di uomini; l’uomo-eroe, come, ancora modestamente, era Carlo, era una cosa ormai inconcepibile se non agli uomini di una certa età, che provavano ancora del rispetto –rispetto magari anche verso chi non lo meritava- ma che di per sé era comunque una cosa nobile, che nobilitava la vita.

Non è un sicario, lui (come per esempio un poliziotto, convinto a fare il servo dei ricchi per un piccolo stipendio, passivamente e senza alternative).

Le vite dei padri emanano sempre un sentimento di mistero: e quel ragazzo pareva in quel momento uno degli elementi più enigmatici di tale mistero. Perché, quanto a Carlo, non si era MAI soffermato con la sua attenzione su un personaggio simile. Forse era così che si manifestava il suo naturale razzismo di borghese. Non aveva provato odio, disprezzo, schifo, dolore, incomprensione ecc. per una simile forma di umanità: no, semplicemente i suoi occhi non si erano mai posati su essa. Ed è strano, perché Carlo era un uomo di cultura ; uno scienziato, anche se egli non si era dedicato tanto alla scienza, quanto alla scienza applicata: avrebbe quindi dovuto aver provato almeno una volta nella sua vita un po’ di curiosità, se non altro intellettuale, o pratica, per persone come Salvatore Dulcimascolo, i suoi padri, le sue madri, i suoi fratelli, e tutti quelli come lui. E non è che non gli fossero mancate le occasioni – proprio a causa del suo lavoro; solo recentemente era stato nel Medio Oriente, in Iraq, in Iran, dove in realtà tutti coloro che erano intorno a lui – eccettuate alcune decine di persone- tecnici, impiegati e due o tre ministri – erano della razza del Dio Salvatore Dulcimascolo, anche se più miti o più feroci al tempo stesso. Ma gli occhi di Carlo non avevano mai preso in reale considerazione quelle presenze umane. Ci sarà stata qualche buona ragione: qualcosa che ha impedito agli occhi e alla capacità percettiva di Carlo di realizzare i fratelli umani sottoproletari ( dico così, perché egli era cattolico). Sapeva che c’erano, questo si. E conosceva anche il loro problema: visto da sinistra, oltre tutto, dato che gli si era presentato per tutta la sua vita come un problema astratto, e mai una volta il potere cui egli apparteneva si era dato da fare in concreto per porre tale problema sul tappeto e risolverlo. Ecco perché era un problema dei comunisti, e dei gauchisti; e quindi il democratico, cattolico di sinistra Carlo, non se lo poteva porre come tale. Mai una volta, ripeto, aveva fatto coincidere la conoscenza di tale problema con una persona che lo vivesse sul corpo. Ed era da quel corpo infatti che i suoi occhi rifuggivano.

Il fascismo è l’ideologia dei potenti, la rivoluzione comunista è l’ideologia degli impotenti. Potenti e impotenti provvisoriamente, s’intende. Nel momento storico in cui ciò ha corso. I potenti sono anche carnefici, gli impotenti sono anche vittime. C’è qualcosa di assoluto nel pensiero del potente che vuole stabilizzare il Passato; mentre c’è qualcosa di precario nel pensiero della vittima che vuole distruggere il passato. Nel potente non c’è ambiguità; e così in coloro che decidono di obbedire al potente e quindi di usufruire , in compenso, del potere. Le vittime sono invece profondamente ambigue: la loro decisione di rifiutare il potere che hanno a portata di mano, per crearne un altro in un domani incerto, improbabile, spesso idealizzato e utopistico, non può non insospettire.

La cosa però si era rivoltata contro di loro. La condanna totale e intransigente contro tutti i padri, aveva impedito loro di avere con quei padri un rapporto dialettico, attraverso cui superarli, andare avanti. Il rifiuto puro è arido e malvagio. E così, attraverso il rifiuto, i giovani si trovarono fermi nella storia. Ciò che implicò, fatalmente, un regresso.

Non c’era più curiosità per niente. tutto era già obbligatoriamente noto. C’era solo l’ansia nervosa – che rendeva brutti e pallidi – di consumare la propria fetta di torta. A questo si aggiungevano i capelli lunghi, o meglio i capelli acconciati come su laide maschere, con tiraggi, codine, frangette, ciuffi arrotolati: una deformazione incontenibile, che si presentava come un risultato raggiunto attraverso ineffabili sforzi, e che sostituiva addirittura la parola. Vecchie puttane, sgualdrinelle degli Anni Venti, oppure Santoni senza pensiero, i ragazzi del popolo imitavano gli studenti in questa mascherata che faceva trascorrere loro gli anni più belli della vita come buffoni, vergognosi dello splendore imberbe della pelle, schiacciata dai vecchi ciuffi fieri e innocenti, dalle virili e umili nuche tosate dei tempi della Povertà. Degli uomini colti non ci fu uno che avesse il coraggio di alzare la voce per protestare contro tutto questo. Il rischio dell’impopolarità faceva più paura del vecchio rischio della verità. Del resto anche la cultura specializzata era degna del suo tempo: ormai la sua organizzazione interna era definitivamente pragmatica: i prodotti intellettuali erano prodotti come gli altri: si definivano attraverso il successo o l’insuccesso, e la loro euristica era nel loro esserci, come cose o fatti: scommesse perse o vinte. La malafede era ideologizzata come elemento del modo di essere colti o addirittura poeti. Dei ‘Gruppi’ – anch’essi psicologicamente e corporalmente simili a una borghesia che pareva finita per sempre – facevano del ‘potere letterario’ il loro fine dichiarato e diretto, non solo senza pudore, ma addirittura gestendo contemporaneamente una funzione moralistica, terroristica e ricattatrice, desunta, con inaudita sfacciataggine, dal gauchismo pateticamente sconfitto.  L’unica realtà che pulsava col ritmo e l’affanno della verità era quella – spietata – della produzione, della difesa della moneta, della manutenzione delle vecchie istituzioni ancora essenziali al nuovo potere e non erano certamente le scuole, né gli ospedali, né le chiese.

Gli veniva d’alzare il viso e gli occhi al cielo, ma senza ringraziare Dio: la gioia che credeva di aver avuto era più forte di chi gliel’aveva concessa. Esisteva per se stessa, come per gli atei, che non hanno altro orizzonte che la loro vita.

Il detto è regolato dal non detto; la testimonianza dalla reticenza; il sentimento civico dall’omertà. Solo fondandosi su ciò che non è forma, la forma è tale. E l’esclusione della forma è sempre un progetto, un calcolo.

D’altra parte è fuori discussione che il possesso è un Male, anzi, per definizione è Il Male: quindi l’essere posseduti è ciò che è più lontano dal male, o meglio, è l’unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico. Che tuttavia viene quando vuole e se ne va quando vuole. Ma anche questo suo capriccio è meraviglioso, innocente, e lascia colui che è posseduto in uno stato di attesa che, ancora, lo riempie di gratitudine, lo spinge a un pianto purificatore.

Il primo atteggiamento è l’atteggiamento beato, che si manifesta nella pacata luce degli occhi e nella misura dei gesti, di chi ha realizzato pienamente un proprio sogno, e, quanto a questo, non ha più niente da rimproverarsi, da chiedersi, o da attendersi dal destino. Egli si è compiutamente adempiuto: è in pace con la società a cui esibisce la sua approssimazione al Modello, appunto, sociale, che egli considera pressoché perfetto. Anzi tale perfezione dell’imitazione del Modello subisce in lui anche il tipico ‘rovesciamento’  che hanno tutte le posizioni perfettamente conformistiche; diviene cioè aggressivo e violento. La totale adesione all’Autorità diviene, insomma, dimostrazione di violenza verso le minoranze che tale adesione per un verso o per l’altro non attuino o non accettino. Così che, con la beata, stagnante luce di soddisfazione di chi si è prestato con tutto se stesso a realizzare nel proprio Corpo i Dettami dell’Autorità, coesiste una torva luce di rancore, rabbia, furia, che trasforma quasi in Anarchia l’eccesso di Obbedienza: e in scandalo la perfetta normalità.

Ecco là gli antichi dritti e bulli di Torpignattara, che considerano un vanto la loro magrezza, la loro finezza, i loro atteggiamento delicati, lo stare con la spalluccia un po’ alta e il fianco in fuori, il fare con le mani gesti un po’ cascanti e xxx. I loro fratelli maggiori – i cui corpi erano stati lì, forti, poveri e violenti, solo pochi anni prima – se li sarebbero tutti inculati dal primo all’ultimo, o gli avrebbero dato fuoco. Ma probabilmente non avrebbero creduto ai loro occhi e li avrebbero presi per allucinazioni.

Sventolano anche le bandiere rosse. Il Partito Comunista non è un grande partito pulito; è un grande partito sporco: ma è sporco di unto di officina, di ferro, di ruggine, di farina, di pesce secco, di sangue, di mentuccia, di sudore e di polvere. Ciò che esso dà non è meno grande e umano di colui che riceve.

Soltanto chi ama, soffre nel vedere che le persone amate cambiano. Chi non ama non se ne accorge neppure. Ai politici non gliene importa niente dei poveri; agli intellettuali non gliene importa niente dei giovani. E quindi non solo non soffrono a causa del loro cambiamento, ma, appunto, non se ne accorgono nemmeno. E non si tratta poi neanche di un semplice cambiamento, seppur doloroso, in quanto degradante: ma si tratta, come ho detto, di un vero e proprio genocidio.

Chi parla esclude i sentimenti ( soprattutto l’ingenuità, lo stupore, il rispetto, l’interesse): ma si attiene rigorosamente al grigiore di chi conosca senza più margini sé, l’altro e il reciproco rapporto.

La borghesia italiana si divide in due categorie: una è maggioritaria, enormemente maggioritaria; l’altra un’infima minoranza. Lo 0,06 per cento ( dicono le statistiche) legge ogni tanto un libro: coloro che leggono regolarmente , cioè coloro che si possono definire uomini colti, dovrebbero essere dunque, circa lo 0,02 per cento: ma tra costoro ci sono i tradizionalisti, gli universitari ufficiali ecc. ; solo lo 0,01 per cento in conclusione finirà col costituirla vera e propria intelligencija della borghesia italiana!

Quanto agli attori, esibivano tutta la loro persona come fosse un pene: ma l’esibizione, com’è noto, rivela la castrazione. Dunque erano teste “mozzate” di Meduse. Ed era perciò che pietrificavano.

Lo dice Sant’Agostino: “ Non unitevi con le parole, ma unitevi con la parola fatta carne”
Chi non aveva la sua fretta , pur andando per  la sua direzione, poteva contemplarne con agio come quel sogno in cui era immersa agisse e funzionasse realmente. Si trattava di un’azione e di un funzionamento in sostanza definibile attraverso una serie di negazioni: quella gente non era più quella di un tempo, quella gente non aveva più la purezza (sia pur coatta) della povertà, quella gente non aveva più l’antico rispetto, quella gente non aveva più l’antica ansia di riscatto, quella gente non creava più il suo modello umano, quella gente non opponeva più la sua cultura a quella dei padroni, quella gente non conosceva più la santità della rassegnazione, quella gente non conosceva più la silenziosa volontà della rivoluzione. Tutte queste contraddizioni erano imprescindibili l’una dall’altra.

Il pezzo grosso politico non può che fare sempre della demagogia e mentire; il vero potente – pubblicamente meno conosciuto, e che non ha bisogno di mendicare continuamente popolarità facendo la ruota come un tacchino – è però freddo e totalmente cinico – si scioglie e diviene un po’ ragazzo solo nei suoi hobbies.

Quella massa di gente sciamava per quella vecchia strada senza il minimo prestigio fisico, anzi fisicamente penosa e disgustosa. Erano dei piccoli borghesi senza destino, messi ai margini della storia del mondo, nel momento stesso in cui venivano omologati agli altri.

Inoltre: “Chi ha occhi per vedere e orecchi per sentire può convincersi che nessun uomo mortale può mantenere un segreto. Se le sue labbra sono silenziose, chiacchiera con le punta delle dita: il tradimento trasuda da ogni suo poro” (Freud)

In generale ho osservato che, anche ad essere un supergenio, in una lettura pubblica non si può tenere occupato di sé il pubblico più di venti minuti impunemente.

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