Cercando di spiegare il Voi

Quando mia madre è nata, mio nonno Armando aveva 39 anni e mia nonna Rosa 32. Mia madre era la settima  e ultima figlia di quell’unione felice. L’avevano preceduta Franco, 14 anni prima, e a seguire Silvana, morta in tenera età, Silvana , Bruna, Graziella, Giuseppe e Anna Maria, la mia Mamma. I miei nonni lavoravano entrambi e possedevano un terreno coltivato e alcuni animali utili al sostentamento della famiglia ; entrambi avevano origine contadina. Non essendo il primo figlio ed essendo ancora tempi in cui il più grande comandava, mio nonno si risolse a partire con sua moglie. Allora partire significava sportarsi di alcuni chilometri che, considerando l’epoca, era paragonabile all’andare fuori Regione. In ogni caso, pur dovendo ripartire da zero o quasi, riuscirono nei loro intenti ;  non mancavano in nulla e avevano, tutti, di che mangiare e vestire. Mia madre, in questo somiglio a lei, da bambina, parliamo di 5/6 anni di età, prese ad affezionarsi agli animali. Su tutti ricordo un episodio. Avevano un maiale cui lei dedicava tante attenzioni. Lo andava a visitare quotidianamente, gli dava da mangiare. Ovvio che non venisse allevato per affezione. Difatti arrivò il giorno della pista, termine che si usa nelle Marche per indicare la macellazione dell’animale. Mia madre pianse , si disperò,  si allontanò da casa, scendendo in fondo al campo, ma il maiale, come è ovvio, non venne salvato. Da quel giorno in poi Mamma, trattandosi del suo amico, non volle più mangiare carne. Mia nonna, che lavorava, aveva una casa da mandare avanti,  cui si aggiungevano terra e animali, trovò una soluzione amorevole che mi fa sorridere ogni volta che mi torna in mente.  Nella macelleria del paese si fece dare della carta e, al ritorno dalla spesa, disse a mia madre che, visto che non voleva mangiare la carne di casa, le aveva preso da mangiare . Questa cosa andò avanti per un certo tempo; nonna prendeva un pezzo di carne da cucinare e , dopo averla messa nella carta della macelleria,  la mostrava a mia madre. Non si limitava a questo. Anche quando veniva cotta, ad esempio alla brace, nonna indicava il pezzo dicendo “questo è di Anna. Non lo toccate” Ovvio che fosse il maiale di casa, ma mia madre, ignara e felice, mangiava. Questo esempio serve a capire che clima ci fosse in famiglia. Dopo pochi anni, a causa di un incidente motociclistico, mio zio Franco rischiò di morire. Con nonno avevano deciso di mettersi in proprio e aprire una impresa edile. Erano anni buoni e si guadagnava bene. Zio, in sella alla sua BMW, fu colpito da un’auto. Allora l’assicurazione non era obbligatoria e l’investitore, non nuovo agli incidenti, aveva intestato ogni bene a nome della moglie. Lo preciso per far capire che mio zio rimase con un pugno di mosche e una gamba in meno. Provarono, tra Recanati, Bologna e Cortina d’Ampezzo a salvargliela, ma non ci fu nulla da fare. Questo iter prese anni , periodo in cui lui fu lontano. Mia madre allora ne aveva nove, di anni, ed iniziò per tutti un periodo diverso, come è ovvio che fosse. In famiglia, da lì a poco, tutti presero a lavorare. Anche mia madre, compiuti 13 anni, andò a casa di sua sorella Silvana, nel frattempo sposata, per imparare a fare le scarpe. Ci rimase per molti mesi e imparò il mestiere di orlatrice. A 14 anni fece ritorno a casa e iniziò a lavorare per delle ditte di Sant’Elpidio e Ancona. Era brava e certi mesi arrivava a guadagnare oltre 200.000 mila lire. Una cifra per l’epoca, parliamo degli anni ‘68/’69, rilevante. Oggi, attualizzandole, sarebbero circa 2000 euro. A 16 anni aveva lo stipendio più alto in famiglia, lavorando tutti i giorni, molte domeniche incluse, da mattina a notte. Erano i miei nonni che , a volte, cercavano di stopparla, di diminuire quella smania di lavorare. I soldi andavano nel conto in comune. Mamma non teneva nulla per sé ma non era l’unica a farlo. In famiglia chi lavorava, e lavoravano tutti, metteva la paga nel fondo familiare. Erano i nonni a gestire i guadagni. Anche qui c’è un episodio emblematico. A Mamma piaceva moltissimo un cappello simile a quello che, in quel periodo, indossava Adriano Celentano. A spicchi, con la visiera, da portare leggermente di lato. Lo guardava, lo ammirava, lo studiava, ma non trovava il coraggio di comprarlo. Mia nonna , presente in un’occasione, la incoraggiò ad acquistarlo ma mia madre fu irremovibile. Costava  7.000 lire. Tornate a casa nonna uscì nuovamente,  per tornare, dopo poco, con quel cappello. Questo era l’ambiente. L’amore era tanto, come la fatica. Mia madre , in tutta la vita, non ha mai risposto male né alzato la voce nei confronti dei genitori. Mai. Le ho chiesto cosa facesse nelle occasioni in cui vedeva  i nonni fare qualcosa che non le andasse a genio. Stava in silenzio. Tornando al Voi . Essendo la più piccola e sentendo i fratelli maggiori rivolgersi ai genitori con il voi, le era naturale fare altrettanto. Abitudine che non ha interrotto fino alla fine.  Zia Silvana ha confermato che i nonni si rivolgevano ai loro genitori, i miei bisnonni, con il Voi. Per loro figli era normale imitarli. Voi. Voi. Voi. Lo so che oggi suona strano, anacronistico, ma quella era la normalità. Quella era famiglia.

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