Murakami Haruki – Il mestiere dello scrittore

Gli scrittori sono fondamentalmente delle persone egoiste, troppo orgogliose e con un forte spirito di rivalità. Se mettete insieme due scrittori , è più facile che non vadano d’accordo piuttosto che il contrario. Io stesso ho fatto quest’esperienza non so quante volte.

 

Ai romanzieri si possono attribuire tanti difetti, ma sono generosi e indulgenti nei confronti di chi desidera metter piede nel loro territorio.

 

Insomma, la narrativa è come un ring di lotta libera sul quale può salire chiunque lo desideri. La distanza tra le corde è grande, c’è una comoda scaletta a disposizione. Il ring stesso è piuttosto vasto. Non ci sono guardiani che cerchino di impedirvi l’accesso, l’arbitro non è severo. Lo spirito è questo. I lottatori già sul ring – in questo caso gli scrittori – fin dall’inizio sono più o meno rassegnati alla facilità con cui si entra in campo. Un campo aperto, agevole, versatile, e anche approssimativo.  Tuttavia, se salire sul ring non presenta particolari problemi, restarci a lungo è una faticaccia. Questo i romanzieri lo sanno bene. Scrivere un romanzo o due non è poi così difficile. Ma pubblicarne molti, mantenersi con la propria scrittura e sopravvivere in quanto romanziere, è tutto un altro paio di maniche. Un’impresa dura, non alla portata di tutti. Un’impresa – come dire? – che richiede qualcosa di speciale. Un certo talento e una certa fermezza sono necessari, è ovvio. E  come in ogni cosa della vita, anche la fortuna e le opportunità hanno la loro importanza. Ma in più occorre una capacità specifica. C’è chi ce l’ha e chi no. Chi ne è dotato per natura, e chi l’ha acquistata per essersi sforzato con anima e corpo.

 

Il numero dei romanzieri non ha limiti, ma lo spazio nelle librerie si.

 

Chi è dotato di un intelletto sopraffino , o ha conoscenze molto superiori alla media, non dovrebbe scrivere romanzi, l’ho sempre pensato. Perché scrivere un romanzo – narrare, insomma – è un atto lento, un atto che si compie a marcia ridotta. Qualcosa a metà strada tra la camminata e la pedalata.

 

Con un po’ di esagerazione si può definire il romanziere come “ qualcuno che osa aver bisogno di qualcosa che non è necessario”.

 

Nelle parole c’è una forza certa. Ma deve essere una forza giusta. O per lo meno deve essere imparziale. Le parole non possono avanzare da sole.

 

Per  natura non ho alcun talento per l’amministrazione, sono schivo e poco socievole, inadeguato a lavorare a contatto coi clienti, ma come dice un proverbio giapponese : “ Se una cosa piace, ci si sforza di farla bene senza lamentarsi”.

 

E’ un diritto imprescindibile di ogni scrittore sperimentare le possibilità del linguaggio in tutti i modi che riesce ad immaginare e allargarne la portata, perché senza questo spirito di avventura non si creerebbe mai nulla di nuovo.

 

Quando ho ricevuto il premio Gunzo’ per Ascolta la canzone del vento , ammetto di esserne stato davvero felice. Era qualcosa che mi permetteva di farmi conoscere a un pubblico molto vasto. Nella mia vita era un accadimento epocale. Un “biglietto d’ingresso” nella categoria degli scrittori. E’ importante avere il biglietto d’ingresso, cambia tutto. Davanti a me si è spalancato un portone. E una volta entrato, munito del biglietto in qualche modo sarei andato avanti, mi dicevo. Non potevo permettermi, in quel momento, di perdermi in elucubrazioni.

 

Ma chi non possiede quel tanto di arroganza non può diventare romanziere, lo penso davvero.

 

Io avevo da lavorare, andare in televisione non mi attirava per niente, ( per carattere, non mi piace apparire in pubblico).

 

In ogni caso, da romanziere di lungo corso, se posso esprimere una mia impressione, succede più o meno ogni cinque anni che tra le opere scritte da esordienti ce ne sia una che risponde davvero alle aspettative. Ad essere proprio indulgenti, ogni due o tre anni. Ma dato che bisogna sceglierne una ogni sei mesi, si finisce necessariamente per avere la sensazione che le cose vengano gonfiate. Questo non ha importanza ( i premi sono tutti più o meno un incoraggiamento , una sorta di celebrazione, perché non c’è niente di male ad “ aprire un portone”), ma obiettivamente non sono una cosa tanto significativa, non è il caso che ogni volta i media vadano in fibrillazione. Non c’è molto equilibrio in tutto ciò. Se mi lancio su questo tema, però, a prescindere dal premio Akutagawa, finisco col chiedermi se i premi letterari, tutti quanti, abbiano veramente un valore qualitativo, e a quel punto il discorso si blocca. Infatti nell’attribuzione di premi – dall’Academy Award al Nobel per la letteratura – un numero limitato di opere viene selezionato secondo dei criteri di valutazione, ma non esiste da nessuna parte la prova oggettiva della validità di tali criteri. Si può denigrare o lodare tutto quello che si vuole.

 

per uno scrittore ci sono cose molto più importanti che non vincere un premio letterario. Una di queste è la capacità di creare qualcosa che abbia un significato , un’altra l’esistenza di lettori – pochi o molti che siano – in grado di dare il giusto valore a quel significato. A uno scrittore che ottenga queste due cose, dei premi letterari non importa assolutamente nulla. I premi sono soltanto conferme formali da parte della società e degli ambienti letterari.

Quante sono le persone che ricordano chi ha vinto il premio Akutagawa due anni fa, o il Nobel per la letteratura tre anni fa? Poche. Voi lo ricordate? Se un’opera invece è veramente di valore, supererà la prova del tempo e non verrà dimenticata. A nessuno importa se abbiano vinto il Nobel Ernest Hemingway ( l’ha vinto) o Jorge Luis Borges ( non lo so). I premi letterari proiettano sui libri una luce particolare, ma non possono dar loro vita. Non per questo però bisogna rifiutarli in blocco.

 

Da quando sono nato non ho mai fatto parte della giuria di un premio letterario. Non è che non mi sia stato chiesto, ma ho sempre rifiutato – “ Scusate, ma non posso”- , perché non penso di avere la personalità adatta a svolgere il ruolo di giurato in tale contesto. La regione è semplice, il fatto è che sono troppo individualista. Ho dentro di me la mia visione delle cose, e seguo un mio procedimento che vi si conforma.

 

Vorrei però che rifletteste: il dovere principale di uno scrittore è continuare a scrivere opere che abbiano un certo valore e presentarle ai lettori. Io sono uno scrittore attualmente attivo e con la prospettiva di crescere ancora. Cioè sono ancora alla ricerca di qualcosa –cosa sto facendo, cosa devo fare d’ora in poi? – , ecco la situazione in cui mi trovo. La situazione di chi rischia di farsi fare a pezzi sul fronte di battaglia della letteratura, in prima linea. Sopravvivere e possibilmente avanzare, questo è il compito che mi è stato assegnato. Quindi leggere e valutare con obiettività l’opera di qualcun altro , prendere la responsabilità di lodarla o criticarla, non entra nella sfera della mia attività attuale. Per farlo seriamente – e non conosco un’altra maniera di farlo – dovrei metterci parecchio tempo e parecchia energia. Sottraendoli di conseguenza al mio lavoro. In tutta onestà, non me lo posso permettere. Forse c’è qualcuno che riesce a fare entrambe le cose, ma per quel che mi riguarda, ogni giorno mi impegno già abbastanza per svolgere il mio compito. E’ una forma di egoismo? Ceto, lo è.

 

Per dire che un determinato individuo si esprime con originalità, a mio parere deve soddisfare questi criteri di base.

  1. Distinguersi da tutti gli altri e possedere uno stile proprio ( che si tratti di musica, scrittura, scultura o pittura), uno stile che lo faccia riconoscere subito come autore di un’opera, a chi la veda, legga, ascolti.
  2. Saper migliorare il proprio stile. Farlo evolvere. Non può restare sempre fermo/a nello stesso posto, deve possedere una sua forza innovativa.
  3. Il suo stile individuale col passare del tempo deve assumere la valenza di “classico” e venir adottato dal pubblico come uno dei possibili criteri di valutazione. Cioè dev’essere una ricca fonte di ispirazione per i creatori della generazione seguente.

 

A incoraggiarmi tuttavia – almeno potenzialmente – è il fatto che la maggior parte delle mie opere non piace ai critici letterari, i quali le hanno sempre demolite. Un famoso critico è arrivato a definirmi un venditore di fumo.

 

Naturalmente tra i critici ce ne sono alcuni che hanno lodato le mie opere, ma sono pochi e lo hanno fatto a bassa voce. Nel complesso, sono senza alcun dubbio di più le opinioni negative di quelle positive. Siamo arrivati al punto che se saltassi in un lago per salvare una vecchietta  in procinto di annegare, probabilmente verrei criticato – e sto scherzando solo a metà. “ L’ha fatto solo per la pubblicità”, si direbbe, oppure: “Di sicuro la vecchietta sapeva nuotare”.

 

Il poeta polacco Zbigniew Herbert ha detto: “ Per arrivare alla sorgente bisogna nuotare risalendo la corrente. A scendere galleggiando sull’acqua è solo la spazzatura”. Sono parole incoraggianti.

 

Detto ciò, come facciamo a capire cosa è assolutamente necessario e cosa non lo è? Per quel che mi riguarda, è molto facile. Uno dei criteri risponde alla domanda: “Ti ha dato gioia?” Quando interpreti una cosa che ritieni molto importante per te, se in essa non trovi un piacere e una gioia naturali e spontanei, se mentre la fai non senti un’eccitazione in petto, significa che c’è qualcosa di sbagliato, di poco armonioso. In quei casi bisogna tornare al punto di partenza e liberarsi completamente di quegli elementi innaturali che ostacolano il piacere.

 

Se le mie opere si possono definire “originali” è perché nascono dalla “libertà”.

 

In qualunque lavoro creativo dev’esserci un nucleo di gioia spontanea. L’originalità è semplicemente la forma che prende l’impulso di trasmettere a un gran numero di persone questo sentimento di libertà, questa gioia che non conosce restrizioni.

 

Questa è solo una mia opinione personale , ma se volte esprimere qualcosa liberamente, la domanda che dovreste visualizzare nella vostra mente non è “ Che cosa sto cercando?” , quanto piuttosto : “ Prima di cercare qualcosa, come sono io?”

 

Fresco, pieno di energia e inequivocabilmente proprio. Definire a parole l’originalità è molto difficile, ma descrivere e far rivivere le condizioni spirituali che la generano è possibile. Quanto a me, quando scrivo un romanzo ho sempre il desiderio di ricreare dento di me queste condizioni. Perché è una sensazione magnifica. Una sensazione rinfrescante, come se all’interno di una giornata ne sorgesse un’altra. E sarebbe bellissimo se riuscissi a far provare la stessa cosa anche ai miei lettori.  Aprire una finestra nelle pareti dello spirito, per fare entrare ara fresca. E’ un pensiero, una speranza, che ho sempre in testa mentre scrivo un romanzo. Semplicemente, senza bisogno di ragionamenti.

 

Così quando leggo un articolo, quando guardo il telegiornale, spesso mi chiedo che bisogno ci sia di esprimere subito un parere. Noto nella società attuale una certa fretta a dare giudizi radicali : bianco o nero.

 

Nella maggior parte dei casi, quello che io cerco di trattenere nella mia memoria  sono alcuni particolari interessanti delle cose, delle persone, dei fenomeni. Ricordare tutto nella sua interezza è molto difficile ( e ammesso che ci si riesca , lo si dimenticherebbe subito), quindi estraggo alcuni dettagli concreti e peculiari, e mi sforzo di stamparmeli in testa in una forma facile da ricordare. E’ quello che io chiamo “ processo minimo”.

 

James Joyce lo ha detto molto chiaramente : “ L’immaginazione equivale alla memoria”.

 

Ad aiutarmi a procedere nel lavoro , più di ogni altra cosa è stata la musica. Componevo le frasi nello stesso modo in cui si suona. Soprattutto il jazz era utile. Come sapete, nel jazz la cosa più importante è il ritmo.

 

Io non so suonare nessuno strumento. Per lo meno non abbastanza bene da esibirmi davanti a qualcuno. Però mi sarebbe piaciuto. Così il pensiero che ho avuto all’inizio è stato: al posto di fare musica, posso scrivere. Ed è una sensazione che conservo ancora adesso. Mentre picchio sui tasti del computer, cerco sempre il ritmo giusto, il suono e il colore adatti. E’ un elemento essenziale della mia scrittura, irrinunciabile.

 

L’albero affonda, la pietra galleggia”. Questo modo di dire significa che possono succedere cose impossibili, e nel mondo del romanzo – forse nel mondo dell’arte in genere – questi paradossi si verificano di continuo.

 

Ogni generazione ha campi in cui eccelle e altri in cui ha difficoltà. Tutto qui. Stando così le cose, quando si vuole dare struttura a qualcosa, è opportuno spingere in primo piano quello in cui si riesce meglio. Descrivere le cose che si vedono con maggior chiarezza, usando il linguaggio che ci è congeniale come un’arma.

 

Se aspirate a scrivere un romanzo, quindi, guardatevi attorno con attenzione – questa è la mia conclusione. Il mondo ci sembra privo di valore, ma in realtà è pieno di minerali affascinanti ed enigmatici. Il romanziere è qualcuno che ha la capacità di vederli ed estrali. Altra cosa straordinaria, è tutto gratis. Se siete dotati di due occhi che sanno osservare, di quei preziosi minerali potete sceglierne e prenderne quanti ne volete.

 

Pensandoci bene, mi rendo conto che per me i romanzi sono una linea di comunicazione vitale, mentre i racconti e i romanzi brevi costituiscono una preziosa esercitazione, direi quasi una tappa di avvicinamento. E’ come per la corsa a piedi: un corridore su lunga distanza segna i suoi record anche sui mille metri e sui cinquecento, ma quello che conta è la maratona.

 

Prima di tutto metto in ordine ( metaforicamente) tutti gli oggetti che tengo sulla scrivania. “Ora scrivo un romanzo e non esiste nient’altro”, questo è l’atteggiamento mentale che devo assumere.

 

quando scrivo un romanzo , in linea di massima non scrivo nient’altro.

 

Un romanziere, prima di essere un artista, è una persona libera. E una persona libera fa quello che vuole, quando e come vuole, questa è la mia definizione.

 

Per quanto lungo sia un romanzo, per quanto complicata la struttura, non faccio mai un piano all’inizio, procedo improvvisando come viene, senza sapere né come si svilupperà né come finirà.

 

Quando ho scritto L’uccello che girava le viti del mondo, a un certo punto ho deciso che alcune parti non c’entravano niente con l’insieme della storia e ho cancellato interi capitoli. Poi li ho ripresi e ne ho fatto la base di partenza di un nuovo romanzo, A sud del confine, a ovest del sole. Ma è un caso estremo, di solito quello che è cancellato resta cancellato.

 

Perché in un romanzo lungo – come nella vita – sono necessarie anche delle parti leggere e rilassanti. Così le parti stringenti risultano più efficaci.

 

Quando l’opera ha già una sua forma compiuta, la faccio leggere a mia moglie. E’ una cosa che lei fa sistematicamente fin dai miei primi passi di scrittore.

 

Non per questo però accetto senza riserve tutte le osservazioni che mi fa lei. Ho appena finito di scrivere un romanzo lungo mettendoci un sacco di tempo, grazie  al “recupero” mi sono più o meno calmato, ma il mio cervello è ancora in ebollizione, e le critiche mi irritano. Mi capita di arrabbiarmi. Mi succede di dire anche cose sgradevoli.

 

In questo processo di “intervento di un’altra persona”, ho una regola personale : le parti criticate, le devo a tutti i costi rivedere. Anche se la critica non mi convince, i passaggi che mi sono stati segnalati, li riscrivo. Magari in una direzione del tutto diversa da quella che la mia consulente mi suggerisce.

 

In ogni caso, occorre passare molto tempo a correggere il testo. Prestare orecchio ai consigli delle persone attorno ( che ci irritino o meno), tenerli a mente e riscrivere tutto facendoci riferimento. I suggerimenti sono preziosi.

 

Ho scritto quello che volevo, quando e come volevo. Questo lo posso dichiarare con sicurezza.

 

La capacità di scrivere la si può acquisire con l’impegno. Ma le occasioni perse non ritornano.

 

Dobbiamo credere soprattutto alle nostre impressioni reali, senza curarci di quanto dice la gente intorno a noi. Non c’è criterio che valga di più, sia per uno scrittore che per un lettore.

 

Se qualcuno vuole scrivere un romanzo, in qualunque posto lo faccia, sarà quella la sua camera segreta, il suo studio portatile.

 

Che uno scriva romanzi o racconti, per portare avanti per molti anni un’attività letteraria, è assolutamente necessario avere una perseveranza che renda possibile un lavoro regolare.

 

Cioè la combinazione quotidiana dell’esercizio fisico e del lavoro intellettuale ha un’influenza ideale su quel genere di sforzo creativo che compie lo scrittore.

 

E i limiti tra lo spirito, l’intelletto e il corpo, a mio parere – non so cosa ne pensino gli scienziati – non sono tracciati da una linea retta.

 

Invece uno che abita in una zona residenziale, che conduce una vita sana, che ogni mattina senza eccezioni si alza presto e fa jogging … uno che ama preparare insalate, poi si chiude a lavorare nel suo studio a ore stabilite, in realtà non piace a nessuno. Probabilmente sto gettando acqua fredda sul fuoco dell’idea romantica che la gente predilige.

 

Se vogliamo incontrare il caos dentro di noi, basta che chiudiamo la bocca, stiamo fermi, e scendiamo in fondo alla nostra coscienza. Perché si nasconde lì, il caos vero che dobbiamo valutare, quello che vale la pena di affrontare. Si cela laggiù.

 

Non credo di aver rimpianto la scuola nemmeno una volta (forse).

 

La ragione per cui non avevo alcuna passione per lo studio è semplice : non era interessante. Non me ne importava nulla. Al mondo c’erano troppe cose ben più stimolanti della scuola. libri, musica, film … e andare al mare, giocare a baseball, coccolare il gatto, poi, quando sono cresciuto, giocare a mahjong con gli amici tutta la notte, uscire con le ragazze … questo genere di cose, insomma. In confronto, lo studio era deprimente. Adesso mi sembra del tutto naturale.

 

Altro motivo: non ho mai avuto interesse per la competizione. Non sto cercando di fare bella figura, ma non davo alcun valore all’eccellenza espressa in dati concreti come i voti, le graduatorie e gli standard numerici ( per fortuna quando io ero al liceo questi non esistevano).

 

Al mondo, inutile dirlo, ci sono un sacco di libri dal contenuto profondo, ben più emozionanti dei libri di testo. Libri che, pagina dopo pagina, ti entrano dentro.

 

Negli ultimi anni di liceo ero in grado di leggere i romanzi inglesi in lingua originale. Non he a scuola fossi bravo in inglese. Il fatto è che di traduzioni in giapponese ce n’erano poche, così, da quel lettore avido che ero, avevo comprato in un negozio di libri usati vicino al porto di Kobe una montagna di volumi inglesi in edizione economica, e li ho letti tutti dal primo all’ultimo, capissi o meno quel che c’era scritto. Ho iniziato per curiosità. Poi a poco a poco mi sono forse abituato e sono riuscito a leggere senza difficoltà i testi scritti in lettere latine.

 

Quando si frequenta la scuola, gli ammonimenti fioccano di continuo : “ Devi studiare con impegno. Se non si impara da giovani, poi, da adulti, lo si rimpiange”. Sarà, ma io, una volta terminati gli studi, questo rimpianto non l’ho mai provato nemmeno una volta. Al contrario, mi dispiace non essermi divertito di più, quando ero ragazzo. Invece di sprecare il mio tempo a studiare certe idiozie. Può darsi però che io sia un caso limite.

 

Ad esempio, riguardo all’incidente nucleare avvenuto a Fukushima nel marzo del 2011, le informazioni che abbiamo ci portano a farci l’idea funesta che questa disgrazia fosse inevitabile e sia stata causata fondamentalmente dal sistema sociale giapponese stesso. Probabilmente è quello che grosso modo pensano tutti. … Tuttavia, ciò che ha innalzato l’incidente a livello di tragedia, a mio avviso è un difetto strutturale del sistema sociale presente e lo squilibrio che ne deriva. L’assenza di responsabilità all’interno del sistema, la totale incapacità di discernimento. L’efficacia perseguita senza ipotizzare la sofferenza di altre persone è un’efficacia nociva per mancanza di immaginazione.

 

Comunque torniamo alla scuola. L’ho frequentata dalla metà degli anni Cinquanta a tutti gli anni Sessanta, quando problemi come il bullismo e l’assenteismo non si erano ancora presentati in maniera così grave. … Insomma, c’era l’idea ottimistica che continuando di quel passo e mettendocela tutta, problemi e contraddizioni a poco a poco si sarebbero risolti. Di conseguenza anch’io, pur non amando la scuola, mi dicevo che ci dovevo andare, era normale, e frequentavo le lezioni con relativa serietà, senza pormi troppe domande.

 

Una scuola in cui gli allievi vengono schiacciati metaforicamente si può concepire, ma una scuola in cui vengono schiacciati fisicamente supera di molto la mia immaginazione.

 

Libri di tutti i generi, li divoravo da cima a fondo come se li gettassi con una pala in una fornace. Me li gustavo uno per uno, ci mettevo qualche giorno a digerirli ( succedeva anche che non li digerissi affatto), in uno stato d’animo che non mi permetteva quasi di pensare ad altro.

 

A guardare le cose solo dal proprio punto di vista, il mondo rimpicciolisce. Il corpo si irrigidisce, il gioco di gambe rallenta e non si riesce più a muoversi con scioltezza.

 

Ciò che chiedo alla scuola è di “non soffocare la fantasia nei bambini che ne hanno”, nient’altro. sarebbe sufficiente. Lasciare ad ogni persona abbastanza spazio per sopravvivere.

 

Lo scrittore, oltre a dare al racconto un sapore reale, deve installarvi nel centro – o lì vicino – personaggi profondamente interessanti di cui in una certa misura non sia possibile prevedere gli atti e le parole. Un romanzo in cui i personaggi facciano o dicano cose scontate non troverà molti lettori.

 

Quello che voglio dire, è che come lo scrittore crea il romanzo, così alcuni romanzi riescono a creare alcuni aspetti dello scrittore.

 

Quindi considero Nel segno della pecora il vero punto di partenza della mia carriera di romanziere.

 

Dunque sono diventato uno scrittore, ho pubblicato periodicamente dei libri, e da quest’esperienza ho imparato una lezione : qualunque cosa tu scriva, ci sarà sempre qualcuno che ne parla male.

 

Denigrare è facile ( tanto si può dire quello che si vuole, non è necessario assumersene la responsabilità), ma lo scrittore non deve prendere queste critiche sul serio, altrimenti non reggerà. Che scriva quello che gli pare come gli pare, tanto verrà sempre coperto di insulti. Ma non ha la minima importanza.

 

Però mi ripeto che l’unica cosa che posso fare è godermi la mia scrittura. In tanti anni passati a scrivere, ho acquisito la capacità di usare a mio vantaggio ogni circostanza. Ed è una saggezza che mi aiuta a vivere.

 

In pratica , però, a me non succede quasi mai di incontrare direttamente i lettori.

 

Circa una volta all’anno tengo conferenze e letture all’estero, firmo copie. Perché in quanto scrittore giapponese, penso che sia mia dovere farlo ogni tanto.

 

Spesso nelle librerie giapponesi, le opere degli scrittori e quelle delle scrittrici sono esposte separatamente.

 

Negli Stati Uniti , se uno scrittore vende in Giappone un milione di copie e riceve questo o quel premio letterario, nessuno ci fa caso più di tanto, ma se alcune sue opere escono sul “New Yorker” , la reazione del pubblico cambia radicalmente. Penso spesso che una cultura in cui esiste una rivista così determinante sia invidiabile.

 

C’è un modo di dire giapponese davvero azzeccato: “Il cuore umano è irrequieto”, davvero giusto.  La società intera era al colmo dell’eccitazione , non si parlava d’altro che di denaro. Non era certo l’atmosfera giusta per mettersi a scrivere in santa pace un romanzo lungo.

 

Inoltre, se fossi riuscito a svolgere la mia attività principalmente all’estero, mantenere rapporti con il complicato mondo letterario giapponese non sarebbe più stato indispensabile. Qualunque cosa mi dicessero, bastava che li ignorassi e lasciassi perdere. Questa possibilità è stata un altro dei motivi che mi hanno spinto a mettercela tutta e tentare di affermarmi all’estero. Ora penso che le critiche mi sono piovute addosso in Giappone siano state un bell’incentivo a espatriare. Una fortuna, paradossalmente. In qualunque paese è la stessa cosa, ma non c’è nulla di più temibile di “annientare fingendo di elogiare”.

 

Abraham Lincoln ha lasciato queste parole: “ Si possono ingannare molte persone per breve tempo. Si possono anche ingannare poche persone per molto tempo. Ma non è possibile ingannare molte persone per molto tempo”. Credo sia la stessa cosa si possa dire del romanzo. Ci sono tante cose a questo mondo  che trovano conferma col tempo, soltanto col tempo.

 

Il racconto in origine esiste come metafora della realtà, e la gente, per tener dietro al sistema reale in mutazione, o per non venirne espulsa, ha bisogno di avere dentro di sé nuovi racconti, cioè nuove metafore.

 

Chi vuole dedicarsi alla creazione letteraria dev’essere determinato a sfidare una nuova frontiera. Restando tranquilli nello stesso luogo ( in senso metaforico) l’impulso creativo a poco a poco perde vivacità, finché svanisce del tutto. Può darsi che io sia riuscito ad avere la sana ambizione di un buon obiettivo al momento giusto.

 

Forse d’ora in poi scenderò dentro di me e cecherò più a fondo, più lontano. In un terreno vasto e sconosciuto che probabilmente costituirà l’ultima frontiera. Se riuscirò o meno ad aprirla ,  quella frontiera, non lo so. Tuttavia , scusate se mi ripeto, stabilire chiaramente il proprio obiettivo è una cosa fantastica. A qualunque età, in qualunque luogo.

 

In realtà ho l’impressione di andare ripetendo sempre le stesse cose, dai tempi del mio esordio. Quando leggo un discorso che ho fatto più di trent’anni fa, mi stupisco nel constatare che è lo stesso che farei oggi.

 

L’unica cosa che vorrei fosse chiara, è che io sono “una persona del tutto ordinaria”. Penso di essere dotato di un certo talento di romanziere ( altrimenti non sarei ancora in pista, dopo tanti anni ), ma a parte ciò, non penso di essere qualcuno di speciale. Quando cammino per strada  non mi guarda nessuno, al ristorante di solito vengo accompagnato a uno dei tavoli peggiori. Se non avessi scritto romanzi, nessuno mi avrebbe notato. Avrei condotto un’esistenza molto ordinaria nel modo più ordinario. Io stesso, nella vita quotidiana, non mi ricordo quasi di essere uno scrittore.

 

In conclusione, questi trentacinque anni di vita sono forse stati lo sforzo ardente e costante di provare ancora e sempre meraviglia.

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