Gail Honeyman – Eleonor Oliphant sta benissimo

Due righe, prima dei passi scelti. Non siamo al cospetto di un capolavoro, nè di un libro memorabile. Ad un certo punto ho avuto anche difficoltà a continuare la lettura. E’ scritto piuttosto bene, a tratti prende. Il personaggio è interessante. Se dovessi racchiudere in poche parole questo lavoro, direi che è un libro furbo. Si vede, considerando il successo internazionale, quanto sia apprezzata una certa letteratura impegnata e, al contempo, positiva. La sfigata, provata pesantemente dalla vita, che si trova al bivio in cui deve scegliere se continuare a vivere o morire. Non spoilero ma se è positivo… vogliamoci bene, amiamoci, sorridiamo alla vita. Non sono state ore perse, quelle impiegate in questa lettura, ma sono felice di averlo messo via. Ne faranno un film. Spremiamo tutto lo spremibile. Cmq, che schifo di letteratura nelle vette delle classifiche. E ora, a noi:

Quest’anno nessuno è stato a casa mia, a parte qualche venditore professionale di servizi, ma di mia spontanea volontà non ho invitato alcun essere umano a varcare la soglia, tranne che per leggere i contatori. Pensate che sia impossibile? E invece è vero. Io esisto, no? A volte ho la sensazione di non trovarmi qui e di essere un frammento della mia immaginazione. Ci sono giorni in cui i miei legami con la terra paiono così labili che i fili che mi tengono fissata al pianeta sono sottili come una ragnatela, come zucchero filato. Una violenta folata di vento potrebbe staccarmi del tutto, sollevandomi e facendomi volare via, come un seme di tarassaco.

 

La mamma mi ha sempre detto che sono brutta, stramba, orrenda. Lo fa dai miei primi anni di vita, addirittura da prima che comparissero le cicatrici. Così, apportare questi cambiamenti mi rendeva molto felice. Eccitata. Ero una pagina bianca. Quella sera, a casa, mi guardai allo specchio sopra il lavandino mentre mi lavavo le mani rovinate. Eccomi qui: Eleanor Oliphant. Capelli lunghi, lisci, castano chiaro, che mi scendono giù fino alla vita, pelle chiara, il volto un palinsesto di fuoco. Un naso troppo piccolo e occhi troppo grandi. Orecchie: niente di eccezionale. Altezza più o meno nella media. Aspiro alla medietà… Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia. Ignoratemi, passate oltre, non  c’è nulla da vedere qui.

 

Non sembra un’assistente sociale”, osservai. Lei mi fissò ma non disse nulla. Oh no, ancora! In ogni ambito della vita mi imbatto con frequenza allarmante in persone con limitate capacità sociali. Per quale motivo le professioni a contatto con il pubblico esercitano un tale fascino sui misantropi?

 

L’inferno non esiste, naturalmente, ma se ci fosse, allora la colonna sonora delle grida, dell’azione con i forconi e delle urla infernali delle anime dannate sarebbe un medley ripetuto di canzoni tratte dagli annali dei musical. L’opera completa di Lloyd Webber e Rice verrebbe eseguita senza interruzioni su un palcoscenico all’interno del pozzo di fuoco, e un pubblico di peccatori sarebbe costretto a guardare – e ascoltare – per l’eternità. I peggiori tra loro, i molestatori di bambini e i dittatori omicidi, sarebbero obbligati a cantarle.

 

Lo guardò con tanto amore che dovetti girarmi dall’altra parte. “Almeno so che faccia ha l’amore”, mi dissi. Non è cosa da poco. Nessuno mi aveva mai guardato così, ma sarei stata in grado di riconoscerlo se qualcuno lo avesse mai fatto.

 

Io riposi con cura il  biglietto nel borsellino, mentre Raymond infilò il suo nella tasca posteriore dei pantaloni. Mi accorsi che non riusciva a staccare gli occhi da Laura, sembrava ipnotizzato, come una mangusta davanti a un serpente. Ovviamente lei ne era consapevole. Sospettavo che ci fosse abituata, dato il suo aspetto. Capelli biondi e seni grossi sono così stereotipati, così ovvi… Gli uomini come Raymond, tontoloni ordinari, verranno sempre distratti da donne con il suo aspetto, non avendo né l’arguzia né la raffinatezza di vedere al di là delle ghiandole mammarie e dell’acqua ossigenata.

 

Alcune persone – i deboli – hanno paura della solitudine. Ciò che non riescono a comprendere è che possiede qualcosa di moto liberatorio: una volta che ti rendi conto di non avere bisogno di nessuno, puoi prenderti cura di te stesso. Il punto è questo: è meglio prendersi cura solo di sé stessi. Non puoi proteggere gli altri, per quanto ci provi. Ci provi e fallisci – e il tuo mondo ti crolla addosso, brucia e si riduce in cenere. Detto questo, a volte mi chiedo come sarebbe avere qualcuno- un cugino, per esempio, o un fratello – da andare a trovare nei momenti di necessità, o con cui semplicemente passare del tempo senza programmare nulla prima.  Qualcuno che ti conosce, che ci tiene a te, che vuole il meglio per te. Purtroppo una pianta domestica, per quanto attraente e robusta, non soddisfa queste aspettative. Comunque era inutile formulare ipotesi. Non avevo nessuno ed era insensato desiderare che fosse altrimenti.

 

Il tempo non fa che smusare il dolore della perdita, ma non  lo cancella.

 

Non ero brava a fingere, ecco qual era il punto. Dopo quello che era successo durante l’incendio della casa, considerato ciò che era accaduto, non vedevo l’utilità di essere altro che sincera con il resto del mondo. Non mi era rimasto, letteralmente, nulla da perdere. Però, attraverso l’attenta osservazione  dai margini, avevo scoperto che spesso il successo sociale si basa su un minimo di finzione. A volte le persone popolari devono ridere di cose che non trovano molto divertenti, devono fare cose cui non tengono particolarmente, con gente di cui non apprezzano particolarmente la compagnia. Io no. Anni prima avevo deciso che se la scelta fosse stata tra fare così o volare in solitaria, allora avrei volato in solitaria. Era più sicuro. Il dolore è il prezzo che paghiamo per l’amore, dicono. E questo prezzo è troppo alto.

 

Più tardi. Mi svegliai ancora. Tenevo gli occhi chiusi. Una domanda m’incuriosiva. A che cosa servivo io? Non avevo dato nessun contributo al mondo, assolutamente nulla, e non ne avevo nemmeno ricavato nulla. Quando avessi smesso di esistere, non sarebbe materialmente cambiato niente per nessuno. L’assenza della maggior parte della gente sarebbe stata avvertita, a livello personale, da almeno una manciata di persone. Io, invece, non avevo nessuno. Non illumino una stanza quando entro. Nessuno spasima per vedermi o sentire la mia voce. Non provo la benché minima pena per me stessa. E’ semplicemente la constatazione di un dato di fatto. E’ tutta la vita che aspetto di morire. Non voglio dire che desidero attivamente di morire, solo che non  voglio seriamente essere viva. Ora qualcosa si era mosso, e mi ero accorta che non serviva che aspettassi la morte. Non volevo. Svitai la bottiglia e bevvi a fondo.

 

Alle gente non piacciono questi fatti, ma non so che cosa farci. Se qualcuno ti chiede come stai, si aspetta che tu risponda BENE. Non devi dire che la sera prima ti sei addormentata piangendo perché erano due giorni di fila che non parlavi con un’altra persona. Devi dire: BENE.

 

Ecco che cosa provavo: il peso caldo delle sue mani su di me; la sincerità del suo sorriso; il calore delicato di qualcosa che si apriva, nello stesso modo in cui i fiori si schiudono la mattina alla vista del sole. Sapevo che cosa stava accadendo. Era la parte priva di cicatrici del mio cuore. C’era ancora un minuscolo spazio libero.

 

Solitamente non mi piace usare profumi, perché preferisco l’odore del semplice sapone e del mio muschio naturale, ma, se fosse possibile acquistare un flacone in cui si combinassero il profumo di matite nuove appena temperate e la puzza di petrolio da cancellare appena strofinata, sarei felice di spruzzarmelo addosso ogni giorno.

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