Ciao Giuseppe

Come si fa ? Io non sono onnisciente e per questo mi è impossibile tentare di capire. Ieri, quando mi è stato detto che un giovane papà era rimasto ucciso, investito da un’auto, considerati luogo ed ora, avevo pensato ad un’altra persona. Alla chiamata di Davide, andata persa, a quello strano orario , avevo ripensato solo a quella prima e parziale notizia; la mente immediatamente mi aveva portato in altri lidi, che forse sarebbero stati meno dolorosi. Non voglio fare una classifica del dolore, non sarebbe giusto, ma tu eri l’ultima persona che meritava una fine simile. Investito , da un’auto di cui conducente aveva perso il controllo, vai a capire il motivo, mentre attendevi di attraversare sulle strisce, stando ancora sul ciglio della strada. Ed è lì che la morte ti è venuta a prendere. Tra il muso di quel mezzo, un albero e un muretto. Chi non conosce quella zona, non sa , non può sapere, che quello, seguendo il percorso fatto dall’auto, è il primo albero che si incontra dopo centinaia di metri di niente. Le strisce pedonali e subito dietro quel fusto. Fossero messi al contrario, tu saresti vivo. Ma il pedone deve essere visibile.
Da quel che s’è capito, tu non avevi bisogno di esserlo, perché non avevi neppure impegnato la corsia di marcia. Eppure, se un pedone attende, un automobilista si dovrebbe fermare. E’ quel dovrebbe che fa tutta la differenza. Come l’ha fatta il , ad oggi presunto, malore della conducente. Ma ora non importa, non è più importante. Tu eri lì, coi fiori in mano, per il compleanno di tua moglie, e tutto è finito, in pochi attimi. Chissà a cosa pensavi, in quel momento, e nei pochi istanti precedenti… Forse a tuo figlio, nato da pochi mesi. Certamente alla tua consorte, cui ti accingevi a consegnare quel dono floreale; magari ai tuoi genitori, da cui ti eri appena separato, dopo un pranzo assieme, per dirigerti verso la tua nuova casa. Quei genitori che, a distanza di anni, ricordo sempre con affetto. Io e te, entrambi figli unici, compagni di banco alle medie. Stamattina, rientrato a casa, sono andato a tirar fuori i vecchi album delle foto. Ne puntavo uno, in particolare. Quello che contiene tutti gli scatti delle elementari e medie. E, appena l’ho trovato, sei arrivato subito, nelle foto. Io e te, sempre vicini. Sorridevi. Lo facevi da ragazzino ed hai continuato a farlo sempre. Credo , è assai probabile, che lo facessi pure ieri. Che ricordi ho, di noi fanciulli. Non servivano le foto per farli riaffiorare. Sono tornati tutti a galla, ieri sera, lentamente, a fare compagnia alle lacrime. Il tuo tifo per il Cesena, e avevi un modo tutto tuo per nominarlo, con la esse strascicata, che per te era un vanto. La rivista SuperTifo che portavi in classe e mi mostravi con orgoglio. Le foto delle varie curve, quella dell’Atalanta, con un uomo a cavalcioni della recinzione a guidare il tifo, quella della Cremonese, e finalmente, dopo settimane o forse mesi, pure quella del Cesena. Tu eri raggiante. Incontenibile. Finalmente i tuoi fratelli maggiori, avevano la loro consacrazione su quella rivista che per te era una Bibbia. Tu respiravi calcio, vivevi calcio, sognavi calcio. Tra un’ora di lezione e l’altra, giocavamo a calcio, con un gioco di tua invenzione. Due tappi di penna bic a tenere aperta la zip del tuo astuccio, una pallina di carta da calciare, ( ne preparavamo diverse e solo le migliori vedevano il campo), e una gomma per cancellare come portiere. Lo scopo, a seconda del ruolo di attaccante o portiere, era quello di segnare o non subire l’onta del gol. Quante schicchere, tirate con l’anulare, e tu, che già allora eri un portiere anche nella vita reale, ti dilettavi a parare i miei tiri. Quando la gomma partiva ad intercettare la parabola della sfera, facevi pure gli effetti, i cori, ed esplodevi come fossi un’intera curva, se il miracolo si compiva. Poi, di pomeriggio, quando non ti allenavi, giocavamo a calcio in maniera virtuale, al Commodore64. Venivo a casa tua, oppure tu da me, e ci scatenavamo. Avevi un gioco a cui eri particolarmente legato; manco a dirlo verteva su di un portiere cui era difficilissimi segnare. Io non so quale sia il modo più giusto di ricordarti. So che ti ho voluto bene, perché eri speciale. Io, da tempo, non regalo complimenti tanto per. Se uno non mi piace, non perdo tempo ad adularlo o a renderlo migliore in un ricordo. Tu, invece, eri migliore. L’ultima volta che ci siamo visti, è stata una festa, come sempre. Tu sorridente, felice. Eravamo in centro e, tra un saluto e un altro, che conoscevi il triplo della gente rispetto a me, (ed io non ne conosco poca), ci siamo messi a parlare di tutto. E’ stato bello, e per un attimo siamo ritornati ragazzini. Almeno a me è accaduto. E ho ricordato quel banco delle medie, il calcio, e il tifo per il Cesena. Quei bei colori, il bianco e nero che, pur con nomi diversi, entrambi amavamo. Il mio ricordo non si ferma a questo, ci siamo visti ancora, tra le medie e quell’ultima occasione. Tu, col tuo entusiasmo contagioso e quel sorriso buono. Oggi, tra i molti ricordi pubblicati sui giornali, uno, quello di Simone Vannini ho condiviso più di tutti. Tu eri speciale ed eri l’ultimo a meritare questa fine. Non ora, non così. Ritorno, per chiudere, all’inizio. Non sono onnisciente e non comprendo i disegni di Dio. La tua allegria, avrebbe potuto attendere ancora un poco, prima di chiamarla a sé. 39 anni… Domani , per salutarti, si riempirà il palazzetto. In quell’ora, le previsioni mettono pioggia, dopo settimane che c’è solo sole. Anche lassù hanno compreso dell’errore fatto.
Ciao, compagno di banco delle medie. Ciao Giuseppe.

 

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