Murakami Haruki, Vento & Flipper

Fu in quel momento che, senza una ragione al mondo, tutt’a un tratto pensai: “Si, anch’io posso scrivere un romanzo!” Ricordo ancora perfettamente la sensazione che provai in quel momento: avevo afferrato qualcosa che era sceso volteggiando dal cielo. Non sapevo perché fosse venuto ad atterrare proprio sul palmo delle mie mani. Non lo capivo allora, e non lo capisco oggi. Ma era successo, qualunque fosse la ragione. era stata una sorta di rivelazione. O forse sarebbe stato meglio definirla un’epifania.  Tutto quello che posso dire è che la mia vita è cambiata drasticamente in quell’attimo, quando Dave Hilton, al Jungu Stadium, conquistò quella splendida seconda base.

 

Col senno del poi , quel risultato scadente era prevedibile. Non avevo mai scritto una riga in vita mia, e non era pensabile che fin dal primo tentativo sfornassi un bel romanzo. Il problema veniva dal fatto che mi ero proposto di creare qualcosa di alto livello. “ Visto che tanto non riesci a scrivere bene, – mi dissi allora, – lascia perdere i preconcetti su come dev’essere la letteratura, e racconta le cose come le senti, come le hai nella testa, liberamente, nel modo che più ti piace.”

Ascolta la canzone del vento

Continuò a osservarmi mentre mangiavo. – Allora ? Perché leggi sempre dei libri?

Mandai giù l’ultimo pezzo di merluzzo con un sorso di birra, misi via il piatto, poi presi L’educazione sentimentale che avevo posato accanto a me, e ne feci scorrere velocemente le pagine. – Perché Flaubert è ormai morto e sepolto, – risposi.

– Non leggi libri di scrittori viventi?

– Gli scrittori viventi non valgono niente.

– Perché?

– Perché quando una persona è morta, hai l’impressione di poterle perdonare quasi tutto, – risposi guardando una replica di Route 66 sul televisore portatile che si trovava al di là del bancone. Di nuovo il Sorcio si immerse nei suoi pensieri.

 

Il romanzo del Sorcio aveva due spunti buoni. Primo, non c’erano scene di sesso. Secondo, nessuno moriva. Tanto si sa che gli uomini vanno a letto con le donne, e muoiono. Quindi che bisogno c’è di ricordarglielo con un libro?

 

Civiltà significa comunicazione, – disse il dottore.

 

Le persone perbene non raccontano gli affari di famiglia agli estranei. Non trovi?

– E tu sei una persona perbene?

Ci pensò su una quindicina di secondi, poi rispose : – Vorrei diventarlo . Sul serio. Bè, tutti lo vorremmo, no?

 

Quando scrivo qualcosa, mi torna sempre in mente quel pomeriggio d’estate. E quella tomba, e la vegetazione tutt’intorno. E penso ogni volta : come sarebbe bello se potessi scrivere per le cicale, per le rane e per i  ragni … e per l’erba estiva e la brezza…

 

Voi siete il sale della terra.

– Mmh?

Ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa si salerà?

 

Il suo protagonista muore due volte su Marte e una su Venere. Non c’è  una contraddizione in questo?

– Lei lo sa come scorre il tempo, nel cosmo? – gli domandò in risposta Heartfield.

– No, – disse il giornalista, – ma nessuno lo sa.

– E che senso avrebbe scrivere un romanzo su qualcosa che sanno tutti?

 

Fra le opere di Hreartfield c’è un racconto intitolato I pozzi su Marte

 

Lei uscì dal cancello poco dopo le cinque. Indossava una Lacoste rossa e una minigonna bianca di cotone, aveva legato i capelli alla nuca e messo gli occhiali. In una settimana era invecchiata di circa tre anni. Forse era colpa della pettinatura e degli occhiali.

 

Dopo tanto tempo, sentivo il profumo dell’estate. L’odore di salsedine, i fischi lontani delle navi, la sensazione della pelle di una ragazza, l’aroma del suo balsamo per capelli, il vento della sera, le profonde speranze e i dolci segni insensati … Eppure non era più la stessa cosa … come carta carbone fuori posto, tutto era un po’ sfasato rispetto ad un passato irripetibile.

 

Rimase in silenzio per un po’. Un silenzio che, come un deserto, inghiottiva in un attimo nella sua aridità tutte le parole che avevo da dire, lasciandomi in bocca soltanto un gusto amaro.

 

Il calendario del locale era aperto alla pagina del 26 agosto. Chi dà senza rimpianti, riceverà sempre, diceva la scritta in basso.

 

Non ho intenzione di dire che se non avessi incontrato Derek Heartfield forse non avrei mai scritto un romanzo. Però sono convinto che avrei seguito un percorso del tutto diverso.

 

Flipper , 1973

 

Annuii. Poi restammo entrambi in silenzio per una trentina di secondi, a guardare distrattamente il fumo delle sigarette che faceva giravolte nei raggi di sole.

 

A cinque minuti dalla stazione, lungo la ferrovia, viveva un artigiano che scavava pozzi.

 

A me i pozzi piacciono. Ogni volta che ne vedo uno, non resisto alla tentazione di gettarvi dento un sasso.  Non c’è rumore più confortante per me di quello che fa un sasso quando colpisce la superficie dell’acqua in un pozzo.

 

Sulla Piazza Rossa ancora oggi si erge la statua di bronzo delle quattro renne. Che guardano una a est, una a nord, una a ovest, una a sud. Nemmeno Stalin riuscì a far abbattere quella statua. La gente che visita Mosca dovrebbe andare sulla Piazza Rossa il sabato mattina. Potranno vedere uno spettacolo rincuorante: ragazzini delle medie – le guance arrossate e il fiato bianco nell’aria gelida – che strofinano e puliscono bene bene le renne.

 

Le lenze non avevano il minimo fremito, sembravano aghi d’argento conficcati nello stagno.

 

Metti che oggi muoia qualcuno, ad esempio, – disse il tipo che veniva da Venere, un ragazzo tranquillo. – Noi non saremmo tristi. Quando le persone sono vive le amiamo, ma dopo le rimpiangiamo.

 

Il Sorcio passava pomeriggi tranquilli su una sedia a sdraio di vimini. Se abbassava pigramente le palpebre, sentiva fluire il tempo attraverso il suo corpo, come una dolce corrente d’acqua. In questo modo trascorreva le ore, i giorni, le settimane.

 

Il faro sapeva sempre segnalare il momento esatto in cui il giorno cedeva il passo alla notte. In un tramonto favoloso o in una buia serata di nebbia, la sua precisione era infallibile nel cogliere quell’istante in bilico tra luce e buio.

 

 

Il telefono squillava. Qualcuno aveva qualcosa da dire a qualcun altro, pensavo. Io di telefonate non ne ricevevo quasi mai. Perché non c’era nessuno che avesse qualcosa da dirmi, perlomeno nessuno che mi volesse dire quello che io volevo sentire.

 

Quanto dovevo camminare per trovare il mio posto? Dov’era? Ci pensai a lungo, ma tutto quello che mi venne in mente fu la carlinga di un aereo kamikaze.  Che idiozia! Tanto per cominciare, gli aerei kamikaze erano ormai fuori uso da trent’anni.

 

Trascorsi alcuni giorni, il Sorcio si accorse che la relazione con lei si stava dilatando dentro di sé, come un morbido cuneo infilatosi nella sua vita quotidiana. Si sentiva lentamente trafiggere da qualcosa. Ogni volta che ricordava le braccia sottili della donna aggrappate al suo corpo, un moto di tenerezza si espandeva nel suo cuore.

 

Il cielo era sempre coperto. Durante il pomeriggio era diventato ancora più grigio, più scuro. Minaccia pioggia, pensai sporgendo la testa dalla finestra. Uccelli autunnali attraversarono l’orizzonte. Si sentiva quel rombo sordo generato da un insieme di suoni eterogenei : la metropolitana, hamburger sulla griglia, macchine sulle autostrade, porte automatiche che scivolano avanti e indietro.

 

Quel cimitero aveva assunto un significato profondo nella prima infanzia del Sorcio. Quando era liceale e non aveva ancora la patente, era andato su e giù per la strada lungo il fiume con una moto 250, la ragazza di turno sul sellino posteriore. Faceva l’amore con lei guardando in basso le luci della città, sempre le stesse. Profumi diversi gli erano arrivati alle narici, poi si erano dissolti. Sogni diversi, delusioni diverse, promesse diverse. Ma alla fine tutto era svanito allo stesso modo.

 

Da quando aveva incontrato quella donna, la vita del Sorcio era diventata una costante ripetizione, settimana dopo settimana. Gli era difficile persino tenere il conto dei giorni. Che mese era ? ottobre, forse? Boh … Il sabato la vedeva, poi dalla domenica al martedì viveva nel ricordo di quell’incontro. Il giovedì, il venerdì e parte del sabato li passava in attesa. Restava soltanto il mercoledì a vagare nell’aria, senza un posto dove andare. Senza poter né avanzare né tornare indietro. Ah, quei mercoledì …

 

Dopo qualche esitazione prese la direzione del mare, e arrivato alla strada che costeggiava la riva sostò in un punto dal quale si vedeva il palazzo dove abitava lei. Solo metà delle finestre erano illuminate. Attraverso le tende si intravedevano figure umane. L’appartamento della donna era buio. Anche la lampada sul comodino era spenta. Probabilmente stava dormendo. Provò un’acuta nostalgia.

 

Sei stato felice con lei?

– Viste da lontano, – dissi inghiottendo un pezzo di aragosta, – quasi tutte le cose sembrano belle.

 

Un giorno qualcosa cattura il nostro spirito. Magari un’inezia. Un bocciolo di rosa, un cappello andato perso, una maglia che ci piaceva quando eravamo bambini, un vecchio disco di Gene Pitney … una serie di cose insignificanti senza un posto dove andare. Per due o tre giorni quel pensiero si aggira nella nostra mente, poi se ne torna nel buio da cui era venuto … Ci sono pozzi profondi nel nostro animo. E sopra quei pozzi gli uccelli volano avanti e indietro.

 

Mi lanciò uno sguardo sospettoso. Neanche fossi una ciambella caduta per terra.  – La sala giochi?

– Si. Era qui fino a poco tempo fa.

– Non ne so nulla, – rispose lei scuotendo con indolenza la testa. Nessuno ricordava nulla di quanto era accaduto solo il mese prima. Ecco in che genere di città vivevo. Vagai per le strade in preda ad un umore lugubre. La mia “astronave” a tre palette se n’era andata, e nessuno sapeva dove fosse finita. Così smisi di giocare a flipper. A tempo debito, tutti smettono di giocare a flipper. Punto.

 

– “ Non c’è significato in ciò che si perde. La gloria di quanto è destinato a essere perso non è vera gloria”, citai.

 

Il Sorcio non vide più la donna. Smise anche di guardare le luci alle finestre del suo appartamento. Evitò addirittura di andare nei paraggi. Per un po’ di tempo qualcosa fluttuò nelle tenebre del suo cuore, poi scomparve, come il filo di fumo che si alza dalla fiamma di una candela quando viene spenta. Seguì un cupo silenzio. Un silenzio che si sfogliò strato dopo strato, finché rimase … rimase cosa? Il Sorcio stesso non lo sapeva.

 

Ogni cosa si ripeteva … Tornai indietro ripercorrendo la stessa strada, nell’appartamento inondato dalla luce autunnale ascoltai il disco che loro mi avevano lasciato, Rubber Soul, mi feci un caffè. Per il resto della giornata guardai la domenica passare davanti alle mie finestra. Una domenica di novembre così tranquilla da rendere ogni cosa trasparente.

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