Il grande Gatsby, Francis Scott Fitzgerald

Negli anni più vulnerabili della giovinezza , mio padre mi diede un consiglio che non mi è più uscito di mente.

– Quando ti vien voglia di criticare qualcuno, – mi disse, – ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu.

 

Sarei ridiventato il più limitato di tutti gli esperti, “l’uomo versato un po’  in tutto”. Questa non è soltanto una battuta di spirito : dopo tutto la vita si osserva con maggior vantaggio da una finestra sola.

 

Il marito di Daisy, tra le varie doti fisiche, aveva quella di essere una delle ali più potenti che mai avessero giocato a calcio a New Heaven ; era, per così dire, una figura nazionale, uno di quegli uomini che raggiungono a ventun anni una fama così ben definita che tutto ciò che fanno dopo perde al confronto ogni importanza.

 

La moglie era stridula, languida, bella e orribile.

 

Sotto l’influsso del vestito anche la sua personalità aveva subito un cambiamento. La vitalità intensa che era apparsa così notevole  nella rimessa si era trasformata in una alterigia impressionante. Il riso, i gesti, le affermazioni, divennero di momento in momento sempre più violentemente affettati e con l’espandersi di lei la stanza si fece sempre più piccola, finché parve che la donna girasse su un perno rumoroso e scricchiolante nell’aria piena di fumo.

 

Avevo voglia di uscire a passeggio verso il parco nel crepuscolo tenero, ma ogni volta che cercavo di andarmene mi trovavo immischiato in qualche strana discussione stonata che mi inchiodava sulla seggiola come se vi fossi legato con una corda.

 

Erano le nove … quasi subito dopo guardai l’orologio ed erano le dieci. Il signor McKee era addormentato su una seggiola coi pugni chiusi in grembo ; pareva la fotografia di un uomo d’azione. Presi il fazzoletto e gli tolsi dalla guancia la macchia di crema rinsecchita che mi aveva turbato per tutto il pomeriggio. Il cagnolino era seduto sulla tavola e guardava con occhi accecati dal fumo, gemendo fievolmente di quando in quando. La gente scompariva, ricompariva, decideva di andare da qualche parte e poi si perdeva, si cercava e si ritrovava pochi passi più in là.

 

Ciascuno si sospetta dotato di almeno una delle virtù cardinali, ed ecco la mia: sono una delle poche persone oneste che io abbia mai conosciute.

 

Una frase cominciò a martellarmi nelle orecchie con una specie di eccitamento impetuoso : “ Ci sono soltanto perseguitati e persecutori, affaccendati e stanchi”.

 

Gli americani, per quanto disposti e perfino impazienti di essere servi della gleba, sono sempre stati riluttanti all’idea di aver l’aspetto di contadini.

 

Quando andai a salutare vidi che era ritornata sul viso di Gatsby l’espressione stupita, come se gli fosse nato un lieve dubbio sull’entità della felicità presente. Quasi  cinque anni! Perfino in quel pomeriggio dovevano esserci stati momenti in cui Daisy non era riuscita a stare all’altezza del sogno, non per colpa sua, ma a causa della vitalità colossale dell’illusione di lui che andava al di là di Daisy, di qualunque cosa. Gatsby vi si era gettato con passione creatrice, continuando ad accrescerla, ornandola di ogni piuma vivace che il vento gli sospingesse a portata di mano. Non c’è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore. Quando lo fissai , si riprese visibilmente. Teneva fra le sue una mano di lei e, quando Daisy gli disse qualcosa all’orecchio, le si avvicinò in uno slancio di emozione. Credo che quella voce lo avvincesse col suo calore fluttuante e febbrile soprattutto perché non poteva superare il sogno : quella voce era un canto immortale. Mi avevano dimenticato, ma Daisy alzò lo sguardo e tese la mano; Gatsby non mi riconobbe affatto. Li guardai ancora una volta e mi restituirono lo sguardo, remoti, dominati da una vita intensa. Poi uscii dalla stanza e scesi i gradini di marmo nella pioggia, lasciandoli soli.

 

Era James Gatz che bighellonava quel pomeriggio sulla spiaggia in un maglione verde consunto e in un paio di calzoni di tela, ma fu già Jay Gatsby a farsi prestare una barca a remi, per accostarsi al Toulomee e informare Cody che poteva venir sorpreso da un colpo di vento e affondare in mezz’ora. Probabilmente già allora teneva il nome pronto da un pezzo. I suoi genitori erano contadini fossilizzati e falliti : la sua fantasia non li aveva del resto mai accettati come genitori. La verità è che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, era scaturito da una concezione platonica di se stesso. Era un figlio di Dio – frase che, se vuol dire qualcosa, vuol dire proprio questo – e doveva continuare l’opera del padre mettendosi al servizio di una bellezza vistosa, volgare, da prostituta. Così inventò con Jay Gatsby il tipo che poteva venir inventato da un diciassettenne e rimase fino alla fine fedele a questa concezione.

 

E’ inevitabilmente sconfortante guardare  attraverso nuovi occhi cose alle quali abbiamo già applicato la nostra visuale.

 

Daisy incominciò a cantare seguendo la musica in un roco bisbiglio ritmico, donando ad ogni parola un significato che non aveva mai avuto e non avrebbe avuto mai più. Quando la melodia si levò, la voce si aprì dolcemente a seguirla, come fanno le voci di contralto, e ogni nota riversò nell’aria un po’ della sua calda magia umana.

 

Cadevano le foglie. Erano giunti a un luogo dove non c’erano alberi e il marciapiede era bianco sotto il chiaro di luna. Qui si erano fermati, e si erano voltati l’uno verso l’altra. Era una notte fresca ; c’era quell’esaltazione misteriosa che viene durante i due cambiamenti di stagione dell’anno. Le luci tranquille delle case ronzavano nell’oscurità , c’era un fruscio e un bisbiglio tra le stelle. Con la coda dell’occhio, Gatsby vedeva che gli edifici sui marciapiedi costituivano una vera e propria scala e salivano a un luogo al disopra degli alberi ; poteva arrampicarvisi e, se lo faceva da solo, una volta in cima avrebbe potuto succhiare la linfa della vita, trangugiare il latte incomparabile della meraviglia. Il cuore gli batteva sempre più in fretta mentre il viso bianco di Daisy si accostava al suo. Sapeva che baciando quella ragazza , incatenando per sempre le proprie visioni inesprimibili all’alito perituro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come la mente di Dio. Così aspettò, ascoltando ancora un momento il diapason battuto su una stella. Poi la baciò. Sotto il tocco delle sue labbra Daisy sbocciò per lui come un fiore, e l’incarnazione fu completa. In tutto quello che mi disse, perfino nel suo sentimentalismo impressionante, ritrovai qualcosa : un ritmo sfuggente, un frammento di parole perdute, che avevo udito da qualche parte molto tempo prima. Per un momento una frase cercò di prender forma nella mia bocca, e le labbra si schiusero come quelle di un muto, come se non fossero trattenute soltanto da un filo di aria stupita. Ma non diedero suono, e ciò che avevo quasi ritrovato divenne inesprimibile per sempre.

 

Daisy ha una voce indiscreta, – dissi. – E’ piena di … Esitai

– Ha una voce piena di monete, – disse Gatsby improvvisamente.

Era proprio così. Non l’avevo mai capito prima. Piena di monete. Piena di monete : era questo il fascino inesauribile che in essa si alzava e cadeva , il tintinnio, il canto dei cembali… Lassù, nel palazzo bianco, la figlia del re,  la fanciulla dorata …

 

Avevo trent’anni. Davanti a me si apriva la strada portentosa, minacciosa, di un nuovo decennio. Erano le sette quando salimmo con lui nel coupé e partimmo per Long Island. Tom parlava senza sosta, esultante e ridente, ma la sua voce era remota per Jordan e per me come il frastuono estraneo sui marciapiedi o il tumulto della ferrovia sopraelevata. La simpatia umana ha i suoi limiti e fummo felici di lasciar svanire  le discussioni tragiche con le luci della città alle spalle. Trent’anni : la promessa di un decennio di solitudine, una lista sempre più rada di scapoli da conoscere, un entusiasmo sempre più vago, sempre più radi capelli. Ma accanto a me c’era Jordan, che a differenza di Daisy era troppo saggia perfino per trasportare da un’epoca all’altra sogni dimenticati. Mentre passavamo sul ponte buio, il suo viso pallido si posò pigro sulla mia spalla e lo scossone formidabile dei trent’anni dileguò sotto la pressione rassicurante della mano di lei.

 

La bocca era spalancata e leggermente squarciata agli angoli, come se la donna avesse fatto fatica a emettere la vitalità tremenda che aveva rinserrato così a lungo.

 

Con aria sicura, facendoci strada con decisione , fendemmo la folla che continuava ad aumentare e oltrepassammo un dottore affaccendato, con la sua valigetta in mano, che mezz’ora prima era stato chiamato in una inutile speranza.

 

Si cacciò le mani nelle tasche della giacca, e ritornò impaziente alla sua vigilanza, come se la mia presenza contaminasse la santità della veglia. Così me ne andai e lo lasciai nel chiaro di luna , a montare la guardia … a niente.

 

Ritornammo in fretta alle macchine, sotto la pioggia. accanto al cancello , Occhi di Gufo mi parlò:

– Non ho potuto venire a casa, – disse.

– Nessuno ha potuto.

– Andiamo ! – Si avviò. – Ma perdio ! Ci andavamo a centinaia.

Si tolse gli occhiali e li asciugò di nuovo, dentro e fuori.

– Povero bastardo, – disse.

 

Tra i miei ricordi più vivi ci sono i miei ritorni a casa dal liceo e poi dall’università per le vacanze di Natale. Quelli che andavano oltre Chicago si riunivano nella vecchia Union Station semibuia alle sei di una sera di dicembre con qualche amico di Chicago, già avvolti nell’allegria delle vacanze, a dar loro un frettoloso saluto. Ricordo le pellicce delle ragazze che ritornavano dalla signorina tale e talaltra, il cicaleccio degli aliti gelati, mani che si alzano a salutare quando si rivedevano vecchi amici e lo scambio di inviti: “Vai dagli Ordway? Dagli Hersey? Dagli Schultz?” e i lunghi biglietti verdi tenuti stretti dalle nostre mani guantate. E alla fine le sporche vetture gialle della ferrovia Chicago, Milwaukee e Saint Paul, allegre come il Natale, sulle rotaie a fianco del cancello d’ingresso. Mentre ci inoltravamo nel vento notturno e la vera neve, la nostra neve, incominciava a stendersi al nostro fianco e ad ammiccare contro i finestrini, e le luci fioche delle stazioncine del Wisconsin ci passavano accanto, l’aria diventava improvvisamente e stranamente aspra e tonificante. Ne aspiravamo boccate profonde mentre uscivamo dalla sala da pranzo nei vestiboli freddi, consapevoli, per un momento strano, della nostra identità con questa regione, prima di fonderci di nuovo in essa inscindibilmente. Questo è il mio Middle West; non il grano né le praterie né le città svedesi scomparse, ma gli emozionanti treni di ritorno della mia gioventù e i lampioni delle strade e i campanelli delle slitte nel buio brinato e le ombre delle corone di agrifoglio gettate dalle finestre illuminate sulla neve. Io faccio parte di tutto questo, un poco solenne per la sensazione di quei lunghi inverni, un poco compiaciuto di essere cresciuto nella casa dei Carraway in una città dove le dimore sono ancora da decadi chiamate col nome di famiglia. Mi accorgo adesso che questa è stata una storia del West, dopo tutto: Tom e Gatsby, Daisy e Jordan e io eravamo tutti del West e forse soffrivamo di qualche deficienza che ci rendeva sottilmente inadatti alla vita dell’Est.

 

Così quando il fumo azzurro delle foglie fragili invase l’aria e il vento smosse la biancheria bagnata rigida sulla corda, decisi di ritornare a casa.

 

Ci stringemmo la mano.

– Oh, e ricordi, – soggiunse , -la conversazione che abbiamo fatta una volta a proposito di guidare la macchina?

– Be’… non proprio.

– Hai detto che chi guida male è a posto soltanto finché non incontri qualcun altro che guidi male. Be’, ho incontrato un altro che guida male… vero? Voglio dire che è colpa mia se non ho capito niente. Credevo che tu fossi una persona piuttosto onesta, leale. Credevo che questo fosse il tuo orgoglio segreto.

– Ho trent’anni, –  dissi. – Ho cinque anni di troppo per mentire a me stesso e chiamarlo onore.

Non rispose. Molto in collera, mezzo innamorato di lei, ed enormemente seccato, me ne andai.

 

Era stato tutto molto confuso e pasticciato. Erano gente sbadata, Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto…

 

Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa: andremo più in fretta domani, allungheremo ancora di più le braccia… e una bella mattina… Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

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