Ci vediamo un giorno di questi, Federica Bosco

Parto subito dal perfettibile.

Refuso a pagina 229, riga 15:

… e il mio inglese era un solo un antico ricordo.

E ora a noi.

Certo, a quarant’anni avrei dovuto avere qualche crocetta in più sull’elenco delle cose da fare prima di morire.  Mi ero creata una vita maneggevole, pratica e compatta come un trolley per un volo Ryanair.

Fu lì che si diedero il primo bacio. / Impacciati e felici. / Così almeno me li immaginai.

L’amore , quando si è grandi e si sono fatti un bel po’ di errori, ha un sapore ancora migliore.

Sa di fiducia.

L’amore di chi ti sta accanto non ti guida mai nella direzione sbagliata.

Quella brutta abitudine tutta italiana del chiedersi sempre “chissà come ha fatto ad arrivare lì o a permettersi questo o quell’altro”, quella sottile invidia sociale che ti spingeva sempre a pensar male del prossimo, il non potersi godere la vita e le belle cose che ci offre, ma doversi sempre giustificare per il tempo che si dedica a sé stessi, come ci fosse un occhio superiore che ci controlla, ci giudica e ci disapprova.  Una coscienza collettiva fatta di senso di colpa da scontare.

La differenza tra l’innamorarsi a vent’anni e a quaranta passati sta nella consapevolezza. A vent’anni pensi di morire senza di lui, a quaranta sai che non succederà. Che vivrai lo stesso anche col cuore lacerato e malamente ricucito. Vivrai anche col cuore disabitato, abbandonato e solo. Vivrai comunque. E’ questo il vero dramma.

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